23. La paura di restare da soli, di Silvia Tizzoni

’Corrono come se avessero il fuoco sotto il sedere in cerca di qualcosa che non si trova.

Si tratta fondamentalmente della paura di affrontare se stessi, si tratta fondamentalmente della paura di essere soli.
Invece a me fa paura la folla.’
(Charles Bukowski)
 
Una delle cose di cui si parla di più ultimamente in terapia, sarà perché le sere invernali sono buie, lunghe e fredde, sarà perché il nuovo anno che si staglia innanzi come un foglio bianco un po’ intriga, un po’ spaventa, è il tema della PAURA.
 
E così si entra nel circuito personalissimo delle proprie zone d’ombra.
A parte le cose che ci portiamo dentro un po’ tutti, come la morte, la malattia, la guerra e la perdita della libertà, ce n’è una che spadroneggia: quella di restare DA SOLI. Non parliamone poi in questi giorni in cui il Natale incombe, con le sue aspettative ammiccanti di famiglia e intimità, se quelle sensazioni di famiglia (che ci sia davvero o meno non importa) e di intimità non le sentiamo per davvero nostre.
 
Che poi va ben oltre l’essere senza marito o compagno o figli: io avverto che si fa riferimento quasi sempre ad una solitudine profonda, che arriva e travolge.
 
Una paura irrazionale, ma che letteralmente terrorizza. Credo sia figlia di una società individualista dove si corre e magari c’è poco tempo anche solo di ‘appoggiare’ un attimo lo sguardo sull’altro, quell’altro che paradossalmente abbiamo lì, proprio accanto a noi. 
 
Citerò David Icke, perché forse non ha tutti i torti: il nostro prossimo potrebbe sì essere un grandissimo ‘consolatore’, o un ‘compagno di viaggio’ inestimabile, eppure ci può anche terrorizzare, perché ‘la più grande prigione 
in cui le persone vivono è la paura di ciò che 
pensano gli altri.’
 
Un bel dilemma, allora.
 
Che ne faccio di questi altri? Li porto con me, lungo la strada, così non sarò sola, ma accettando i loro spigoli, le loro divergenze, talora le opinioni contrastanti oppure li tengo lontani e mi chiudo nel mio guscio… tanto protettivo, quanto, forse, tanto vuoto.
 
A voi, ragazze, l’ardua sentenza.